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Spaventa, Sìlvio.

Uomo politico italiano. Fratello di Bertrando, studiò nel seminario di Montecassino e seguì il fratello a Napoli, dove frequentò la facoltà di Legge dedicandosi contemporaneamente agli studi filosofici. Nel 1846 aprì con Bertrando una scuola di filosofia di indirizzo hegeliano, chiusa dopo poco per l'intervento dei filosofi accademici e delle autorità. In seguito al fallimento di un tentativo di insurrezione in Calabria, riparò a Firenze. Nel 1848 fece ritorno a Napoli, dove Ferdinando II aveva concesso la Costituzione, e fu eletto deputato al Parlamento napoletano. Risale a questo periodo la fondazione del “Nazionale”, in cui S. sostenne la causa della libertà e della nazionalità e incoraggiò la rivoluzione napoletana; dalle pagine del giornale S. si fece anche portavoce della necessità di prendere parte alla guerra contro l'Austria in Lombardia. In seguito alla restaurazione della Monarchia assoluta, S. fondò con L. Settembrini, C. Braico e F. Agresti la società segreta Unità italiana, anche allo scopo di cacciare i Borboni, diffondere l'idea unitaria e allacciare contatti con altri centri di resistenza della penisola. Arrestato nel marzo 1849 insieme a L. Settembrini e C. Poerio, fu sottoposto a un lungo processo, che si concluse nel 1852 con la condanna a morte. La pena venne poi commutata in ergastolo da scontare nell'Isola di Santo Stefano; qui S. trascorse sei anni, dedicandosi a un'intensa attività di studio. Nel 1859 la condanna fu tramutata in esilio, cui S. riuscì a sottrarsi; dopo un soggiorno a Londra, Torino e Firenze, rientrò clandestinamente a Napoli nel 1860. Dopo l'ingresso di Vittorio Emanuele II nel Regno delle due Sicilie, S. fu nominato ministro di Polizia della luogotenenza napoletana. In tale veste condusse durissime repressioni in nome della legalità e della sicurezza e si fece promotore di coraggiose battaglie anche contro la camorra. Eletto al Parlamento italiano nel 1861, fu rieletto in tutte le successive legislature sino al 1889, anno in cui venne nominato senatore, e si segnalò come intransigente uomo di Destra. Segretario generale al ministero dell'Interno nel Gabinetto Farini-Minghetti, a lui fu addebitata la maggiore responsabilità della repressione nel sangue delle dimostrazioni torinesi contro la Convenzione di Settembre (1864). Consigliere di Stato nel 1868, nel 1873 venne nominato ministro dei Lavori Pubblici e perseguì il progetto di nazionalizzazione delle ferrovie; proprio su questa questione nel 1876 cadde il governo della Destra. Negli anni seguenti fece parte della corrente più intransigente dell'opposizione e, pur riconoscendo la necessità di moderate riforme, avversò decisamente il trasformismo. Fu autore di numerosi scritti, raccolti nei volumi: La politica della Destra (1910); Discorsi parlamentari (1913); Dal 1848 al 1861 (1923); Lettere politiche (1926) (Bomba, Chieti 1822 - Roma 1893).